Massimo Morroni |
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Appendice I
Il vernacolo osimano
Sommario
Premessa. Elementi per una storia della formazione del vernacolo osimano all’interno dell’area marchigiana centrale, nell’ambito della costituzione degli altri dialetti italiani. Vocaboli osimani derivati direttamente dai corrispondenti latini classici o latini volgari (con esigue variazioni fonetiche). Esemplificazioni. Vocaboli osimani derivati direttamente dai corrispondenti latini classici o latini volgari e trasformatisi a seguito di più profonde variazioni fonetiche. Esemplificazioni. Conclusione. Alcuni “fossili” di lingue diverse dal Latino. Principali differenze fonetiche tra vernacolo osimano e lingua italiana. Cenni grammaticali.
Premessa
Si è condotto lo studio, di cui in questa sede si espongono le principali risultanze, nella convinzione che anche l'area linguistica dialettale possieda una sua dignità filologica, determinata se non altro dall'uso vivo che del dialetto si è fatto nell'ultimo millennio (interamente il secondo dell'era volgare). Ci sembra infatti una non leggera imparzialità - dal punto di vista linguistico - non occuparsi dei dialetti, trascurando in tal modo una realtà che purtroppo stiamo - giorno dopo giorno - sempre più consegnando alla tomba del passato, quel passato nel quale essi hanno invece costituito lo strumento principale di espressione per milioni di individui.
Elementi per una storia della formazione del vernacolo osimano all’interno dell’area marchigiana centrale, nell’ambito della costituzione degli altri dialetti italiani
Già l'Ascoli, nel proemio all'Archivio glottologico, evidenziava che nella nostra penisola, dal IV-III sec. a.C. fino al 1861 (data dell'unificazione nazionale) non si erano create forze capaci di accrescere o almeno salvaguardare l'unità linguistica delle nostre regioni. In età preromana esisteva in Italia una frammentazione etnica e linguistica molto accentuata, che trova paragone solo in India (ma con una superficie quattordici volte maggiore). Troviamo infatti: Liguri, Celti, Veneti, Etruschi, Piceni, Umbri, Oschi, Sanniti, Greci, Messapi, Sicani e Siculi. Tutti questi popoli vennero sì assoggettati da Roma, ma ciò non comportò l'annientamento dei rispettivi ethne, conservandosi costumi e idiomi tradizionali. L'uso del latino infatti non fu imposto e restò a lungo invocato e concesso come un ambito diritto. Per quanto riguarda in particolare Osimo (Auximum), in terra picena, la lingua latina scritta e parlata (sermo vulgaris) vi arrivò con la deduzione della colonia romana (metà del II sec. a.C.). Con Augusto sono ancor presenti le distinzioni etniche preromane, poggianti tra l'altro sui confini naturali, ed esse vennero assunte a base della formazione delle regiones. Auximum fece parte della V regio (Picenum), che terminava sull'Esino, confinante a nord con la VI (Umbria et ager Gallicus). Nel III sec. Diocleziano divise l'Italia in due circoscrizioni: settentrionale (gravitante su Milano) e centro-meridionale (con centro Roma); inoltre nel 297 riunì tutto il territorio delle Marche attuali nell'unica provincia Flaminia et Picenum. All'inizio del IV sec., il I grande concilio di Nicea (325), riordinando il territorio dal punto di vista ecclesiastico, fece sopravvivere le partizioni amministrative romane ormai fatiscenti, irrobustendo così particolarismi e divisioni. Tra la fine del IV e l'inizio del V sec. si ebbe una nuova scissione: l'Esino divise la Flaminia et Picenum annonarium a nord (con capitale Ravenna) e il Picenum suburbicarium a sud (legato a Roma). La stessa divisione si avrà, dopo la conquista longobarda, tra il territorio meridionale del Ducatus firmanus (appunto longobardo) e la Pentapoli (dipendente dall'Esarcato bizantino di Ravenna). In questo periodo Osimo (divenuta ormai Oximum) fu a tratti bizantina e a tratti longobarda. Dal 756, e per cinque secoli, sui nostri territori si esercitò una nominale giurisdizione del papa, in forza della Promissio carisiaca tra Stefano II e Pipino, ma i due tronconi rimasero divisi o dalla linea dell'Esino o da quella del Musone. Sarà solamente con Innocenzo III (XIII sec.) che il territorio delle attuali Marche passerà unitariamente nel Patrimonium Sancti Petri. A questo punto va sottolineata la funzione di divisione esercitata dal Patrimonium Sancti Petri, che isolò la civiltà comunale e signorile dell'Italia centro-settentrionale dalla realtà dell'Italia del sud. Come si è potuto notare, Osimo si trovò sempre presso il confine delimitante le Marche settentrionali da quelle meridionali, soprattutto nei secoli coincidenti con la formazione del volgare. I dialetti dell'area marchigiana settentrionale (fino a Senigallia) sono collegati a quelli romagnoli, toscani orientali e umbri settentrionali; l'area meridionale invece fa blocco con i dialetti meridionali continentali (Umbria centro-meridionale, Lazio centrale, Abruzzo settentrionale), e va suddivisa nelle tre province che comprende (Ancona, Macerata ed Ascoli). Delle due consistenti fasce di isoglosse che provengono dal Tirreno, la più settentrionale è chiamata La Spezia-Rimini, mentre l'altra disegna con questa un cuneo rivolto ad Est, ed è la linea Roma-Ancona, la quale viene a percorrere la valle del Musone, dove appunto si collocavano gli antichi confini amministrativi. Da quanto premesso risulta che, se il territorio marchigiano si pone, dal punto di vista politico e linguistico, come caso esemplare di Grenzgebiet (territorio di frontiera), Osimo si trova esattamente nel suo punto di maggior transizione. Attorno al Mille il panorama linguistico delle Marche si presenta più omogeneo se confrontato con quello dei secoli successivi. Esistevano sì le due aree linguistiche (Nord e Sud), ma il loro confine non era invalicabile alla circolazione dei fenomeni linguistici; presentavano anzi un coefficiente sensibile di affinità, all'interno del quale la componente meridionale aveva una sua cospicua presenza. In pratica non si erano ancora introdotti i profondi motivi di diversificazione oggi constatabili. Delle tre connessioni linguistiche esistenti (verso Nord, verso Ovest e verso Sud), è chiaro che Osimo fosse interessata a quest'ultima. Il fenomeno che interessava interamente il territorio regionale era la metafonesi, la quale durò fino al Trecento, quando la toscanizzazione (molto intensa per i rapporti commerciali e culturali), la fece regredire ed annullare. Questa fase interruppe la primitiva continuità linguistica nel territorio marchigiano e da quel momento i due tronconi procedettero staccati, ognuno per proprio conto, producendo ulteriori suddivisioni rispettivamente nel proprio ambito. Si arriva così ai primi documenti scritti contenenti il volgare. Nel 1126 la Nota hic de portu Humanae (il primo documento del Libro Rosso) contiene espressioni come "sive da mare sive da terra a ponte fluvio Mussione", "de foris", "ut siatis", "siamus in pena". Nella "Cartula episcopus Humane" del 1142 troviamo "de civitate Humana" e "de civitate Termole" (entrambe genitivi). Data al 1151 la cosiddetta Carta osimana. Si tratta di un rogito steso dal notaio Simeone, conservato nell'Archivio di Stato di Roma, ma proveniente dall'Abbazia di Chiaravalle di Fiastra, che registra una donazione da parte del vescovo di Osimo, Grimaldo, all'abate Bernardo. In esso le tracce del volgare sono evidenti, pur se non numerose, ad es. "da mo nnanti" (da ora in avanti), "ara" (aia), "qualeungua" (qualunque) ecc. La cosiddetta canzone del Castra, citata da Dante nel De vulgari eloquentia (I, XI), e attribuita dal codice vaticano latino 3793 ad un Messer Osmano (= Osimano), sembra più di origine dotta, anche se la composizione è ascrivibile all'area centro-picena. A partire dal XIII sec. le Marche furono investite da svariate tendenze culturali, soprattutto religiose. L'ascendente dei benedettini cassinesi e farfensi viene sostituito dalle novità dell'Umbria francescana, delle quali si sviluppa il messaggio estremo di osservanza spirituale (fino al caso limite dei Fraticelli). Nella produzione delle Laudi si uniscono la componente linguistica indigena, quella toscana e la latina. Alla fine del Trecento l'influsso toscano lascia le sue conseguenze nei principali centri delle Marche, nelle scritture sia letterarie sia documentarie. Il suo modello viene comunque imposto in maniera diversa; mentre, per esempio, ad Urbino esso è legato al contesto politico e culturale e verrà meno con l'evolversi degli eventi, ad Ancona, dove è fondato su rapporti meramente economici e commerciali, il toscano riuscirà a deviare il corso evolutivo della parlata. Il toscaneggiamento è comunque maggiore negli ambienti aulici, mentre si perde in quelli popolareggianti. I più antichi Statuti osimani che ancor oggi si conservano risalgono ad anni diversi del XIV sec. I primi frammenti datano all'inizio del secolo, si hanno quindi lo statuto 29 novembre 1308, le reformationes 1309 e 1311, lo statuto 5 giugno 1323, il 22 marzo 1325, il frammento del 29 ottobre 1340, lo statuto 14 aprile 1342, la reformatio 1357-58 e l'altra pro statuto 1366-70. Lo statuto del 1371 costituisce la base dell'edizione a stampa del 1571, esattamente due secoli posteriore. Il latino degli statuti cittadini si presenta nettamente medioevale e molto vicino al parlato. I suoi estensori, i cosiddetti statutari, che tra l'altro furono in numero di 25 per la redazione del 1308 (8 del terziere dell'Episcopato, 6 di quello della Piana del Mercato e 11 di quello di S.Gregorio), non dimostrano di possedere una buona cultura, anche se la stesura definitiva dev'essere stata opera di un notaio. I termini usati nei diversi ambiti sono comuni a quelli degli altri dettati statutari coevi della zona marchigiana, tolte alcune espressioni e alcuni termini propri dell'area osimana. Procedendo in ordine alfabetico, passiamo ad esaminare una decina di vocaboli, appartenenti al "sermo humilis", riscontrati negli Statuti del 1308: "armunare" e "armunacio, -onis" (III, 215) non trovano risconntro altrove; "bibia" (IV, 123) invece è tale anche nel Maceratese e nel Fermano coevo, dove resiste ancora il classico "amurca", cioè la "morchia"; "butinellum" (III, 220) ricorda "buta o butta", corrispondente al latino classico "buttis", e può valere "bacinella"; "embeccatorium" (IV, 93), riferito ad una parte del mulino, può avvicinarsi ad "imboccatura" italiano, senza corrispondenza nel latino medioevale esterno, tantomeno nel classico (dove si hanno "os, ostium, aditus"); - "folliarola" (III, 167), in un contesto in cui "emet foleas", non ha parentela col volgare "*fullare", ma riporta appunto a "venditrice di ortaggi"; "friscolarius" (III, 228) detto anche "trappetarius", rappresenta chi lavora in un "trapetum", frantoio; "macenare" (III, 228) riproduce il "mainare" medioevale dal tardo latino "machinare", "macinare" in italiano; "malvedula o malvendula" (III, 160) è un'altra venditrice di ortaggi, molto lontana dall'"olitor" classico, anche qui senza altra corrispondenza medioevale; "panifacula" (I, 79) è locale per "panificus", ma classico "pistor", che è il fornaio o il venditore di pane; "stuppla" (III, 184) adatta foneticamente "stupla" dal classico "stipula", che vale sempre "stoppia". Giunti al XV secolo, notiamo ormai chiaramente il decisivo affermarsi del modello toscano nelle scritture letterarie o di registro colto, a fronte di una variabile competitiva di elegante latino umanistico. Mancando una forte identità nella nostra regione, le resistenze furono molto tenui. Anche l'assenza di centri universitari fece la sua parte; si andava a studiare a Bologna, dove si erano significativamente costituite due nationes, della Marca superiore e di quella inferiore. Se la scelta del toscano era dettata in primo luogo da motivi culturali, bisogna però anche affermare che venne favorita da altri specificatamente linguistici, perché il toscano era il volgare più conservativo rispetto al latino, e mediatore tra le parlate settentrionali e quelle meridionali. Al XV secolo appartiene il capitano osimano Boccolino, definito "perditionis filium, et iniquitatis alumnum" nella Bolla di Innocenzo VIII (1 maggio 1492). Le sue prodezze vennero tra l'altro rispolverate nel 1994, a distanza di mezzo millennio esatto dalla sua uccisione, da alcune pubblicazioni. Di lui restano diverse lettere, indirizzate a vari destinatari, come varia fu la sua esistenza di capitano di ventura, ma anche di sobillatore dei propri concittadini. Non è facile stabilire nei suoi scritti, dal punto di vista linguistico, quanto il suo parlare sia contaminato dall'apporto ricevuto nei suoi frequenti spostamenti in tutta la penisola, ed anche fuori di essa. Si notano infatti influenze almeno toscane, veneziane, romane, napoletane, senza contare poi le influenze di origine dotta (notarile, giuridica, militare ecc.). Comunque, per conoscere come scrivesse un osimano di non alta cultura alla fine del XV sec., citiamo, tanto per esemplificare, una lettera spedita dal Nostro a Ludovico il Moro dopo la presa dell'arsenale di Savona (settembre 1488): "Illustrissimo et Excellentissimo Signore mio. Sel mare non fosse stato turbato et qualche provisione necessarie non fossero manchate, haverìa fornito fin laltro heri el darsenale de questa cità. Tamen essendome studiato et ingegnato de fornirlo per omne modo, etiam che la turbatione del mare che dura anchora me impedisse questa matina cum lo adiuto de nostro Signore Dio et de questi valenti compagni lo ho fornito, non senza periculo. Et dentro gli ho lassato alexino albanese cum bono numero de li soi compagni, quali teneranno talmente custodito da la parte verso la marina questo castello, che non gli potrà intrare uno ucello. Ne da la terra bisogna pensare per essere fornito lo episcopato et quante case gli sono intorno. Ita che se po extimare non habia ad tenerse multo questi che sonno dentro queste fortezze. Tamen per omne modo bisogna che la Ex.a V.a mandi qualche altro bono numero de compagni cum le artegliarie che gli ho domandate per laltre mie, adciò se possano stringere et redure cum tanto più prestezza alla obedientia dela Ex.a V.a alla quale me recomando. Ex Savona XXVIIII Septembris 1488. Excellentiae Vestrae Servitor Bocholinus Gozonus de Auximo Armorum ecc.". Tra Cinquecento e Ottocento la realtà sociale e linguistica italiana restò sempre profondamente frammentata a causa delle lotte per l'equilibrio condotte dai grandi Stati nazionali europei. Nel XVI secolo la lingua scritta si identifica ormai col toscano letterario, variando comunque il grado di approssimazione al modello, a seconda del grado di cultura degli autori e del genere interessato. Alla fine del secolo è diventata ormai difficile la localizzazione di un testo in prosa. Per Osimo c'è da ricordare la comparsa dei primi testi a stampa, prodotti appunto localmente dal Tebaldino (1567) e soprattutto dal De Grandis (dal 1569), il quale - come ricordato - mise sotto i suoi torchi il Magnificae et Vetustissimae Civitatis Auximi volumen in quo Leges, Statuta, Constitutiones et Decreta... nel 1571. Uno degli scopi dichiarati di questa pubblicazione, anche se di minore importanza, era "ad politiorem, concinnum, Romanumque sermonem reddidere" le leggi che "a Romana lingua longe prorsus alienae" erano divenute. Ma nonostante questo buon proposito, i termini volgari locali abbondano ugualmente. Ne riportiamo una scelta: "laborerium" (I,4), "auscultantes" (I, 8), "sportula" (II, 11), "massarolo" (II, 17), "dohanerius" (II, 32), "ianitor" (II, 35), "ditto" (II, 39), "toballietta" (II, 42), "palumbaria" (IV, 52), "marescallum" (V, 4), "broda" (V, 21), "pizicharolus" (V, 37), "trichula" (V, 37), "cribanaria" (V, 51), "fornarius" (V, 51), "bursia" (V, 96), "centura" (V, 96), "caldarium" (V, 100), "cannetum" (VII, 13), "arroncare" (VII, 18). La grande frammentazione delle Marche nel sec.XVII in legazioni, terre, feudi, masse e castelli, comportò anche la divisione e l'indebolimento culturale; l'analfabetismo toccava il 96% su di una popolazione di meno di mezzo milione di abitanti. Le migliori scuole erano quelle tenute dai Gesuiti, connotate fortemente dallo spirito controriformistico. Si aprirono diverse biblioteche: quella di Osimo data al 1667, donata da Francesco Cini, osimano, vescovo di Macerata. È anche il secolo delle accademie (ad Osimo, gli Avvalorati ed i Sorgenti). Attraverso i testi scritti per la scena, il dialetto cerca di conquistare nuovi spazi espressivi e di toglierne al toscano trionfante. Si conoscono due commedie in dialetto marchigiano mediano, entrambe intitolate Intervenuta (e conservate rispettivamente presso le biblioteche comunali di Macerata e di Serra S.Quirico), dove si riscontrano vocaboli ancora oggi in uso da noi, quali "sbiscià" (osimano "sbisgià", scivolare), "scapà" (osimano "capà", scegliere), "scrima" (osimano "scrime", scriminatura), "scutulasse" (osimano "scudulasse", capovolgersi). Non si dà invece poesia dialettale, concedendo imitazione solamente alla lezione del Marino (Giovannetti, Sempronio). Il Settecento segna per la nostra regione un lungo periodo di immobilismo culturale, se si eccettuano i pochissimi studiosi coordinati da Giuseppe Colucci, l'autore della grande raccolta di documentazione marchigiana confluita nei 31 volumi delle Antichità picene (Fermo, 1789-91), e l'attività delle accademie arceviesi (gli Affumigati e la Misena). Ma ciò che più ci interessa è costituito dalla Raccolta di voci romane e marchiane poste per ordine di alfabeto con le toscane corrispondenti per facilitare a ciascuno lo studio delle lingue che Giuseppe Antonio Compagnoni (1731-79) pubblicò anonimamente proprio ad Osimo nel 1768 per i tipi del Quercetti (e che venne ristampata nel 1932 dal Merlo). La pubblicazione comprende voci di tutte le regioni dello Stato Pontificio, escluse l'Emilia e la Romagna, ed ha un intento più pedagogico che linguistico, intendendo appunto "facilitare a ciascuno lo studio della lingua". L'utilità di questo lavoro si rivela quando, confrontando i suoi lemmi con quelli del vernacolo osimano odierno, riusciamo a stabilire gli "antenati" prossimi, cioè settecenteschi, dei vocaboli odierni. Per esempio esisteva il vocabolo "nisciuno", tale e quale vive oggi; e ancora: il verbo "magnare" (anche se sarebbe più corretto dire "magnà"); "magara", del quale si danno due corrispondenti greci, "makas" e "makàri"; "lupomanaro" con rimando al Vocabolario della Crusca sotto la voce "maniaco"; e ancora, in ordine alfabetico, "careggiare"; "allesso" con vicino il latino "elixum"; "anguria"; "biroccio"; "bozzo"; "brugiare"; "castrica"; "coderizzo"; "crescia"; "cossa"; "cucchiara"; "delma"; "fracascè"; "fiottare"; "foderetta"; "forbicetta"; "gangano"; "gambetta" (delle lettere); "gargalozzo"; "gramaccia"; "grancio"; "grattacacia"; "mandola"; "melangola"; "moccicare"; "monnezzaro"; "ovatta"; "pacca" e "paccare"; "parnanza"; "Pasquella"; "pattuella"; "piccionara"; "pigna"; "piro"; "pitria"; "prete" (scaldaletto); "quitarra"; "rampinarsi"; "reccamo"; "rendiera"; "ricapezzare"; "rigalo" e "rigalare"; "rinaccio" e "rinacciare"; "robba"; "romanzina"; "rosciolo" (pesce); "ruzzo"; "saccocciata"; "san" ("con"); "saracca" (spada); "sbiavito"; "sbisciare"; "sbrozzoloso"; "scartozzo"; "schiafana"; "schioppetti" ("morbillo"); "scialpo" e "scialpare"; "sciapo"; "sciuccare"; "sediola"; "sgaggiare"; "sgrizzare" e "sgrizzo"; "smoccicare"; "smollicare"; "smuscinare"; "somenta" e "somentare"; "spiccia"; "spisciolare"; "spizzicare"; "squacquarare"; "stecchia"; "strampalone"; "stronzicone"; "tarpano"; "tega"; "tigame"; "tirabuscion"; "torcolo"; "traccagnotto"; "zinale". Per quanto riguarda la situazione culturale della nostra terra agli inizi del secolo XIX, è sufficiente leggere la lunghissima lettera che Giacomo Leopardi il 30 aprile 1817 indirizzava al Giordani. In particolare così il poeta giovanetto si esprimeva: "Qui, amabilissimo Signore mio, tutto è morte, tutto è insensataggine e stupidità. Si meravigliano i forestieri di questo silenzio, di questo sonno universale. Letteratura è vocabolo inaudito. I nomi del Parini dell'Alfieri del Monti, e del Tasso, e dell'Ariosto e di tutti gli altri han bisogno di commento. Non c'è uno che si curi di essere qualche cosa, non c'è uno a cui il nome di ignorante paia strano. Se lo danno da loro sinceramente e sanno di dire il vero". E Giacomo scriveva a dieci chilometri da Osimo, in un ambiente molto simile al nostro. Tralasciamo qui le considerazioni del poeta riguardo ai dialetti (non ritenuti da lui all'altezza di costituire linguaggio poetico), mentre ricordiamo en passant la sua sporadica considerazione per la parlata di Recanati, alcuni termini della quale egli si ritrova a considerare in diversi punti dello Zibaldone, e qualcuno era "vigente" anche ad Osimo (vedi "ciniscia" simile a "cenisgia", "misticanza", "pigna", "piovizzicare", "sardone"). Se tale era il clima letterario della nostra regione nel secolo scorso, ancora più desolante si presentava in essa il quadro della letteratura dialettale. Ad accrescere le differenziazioni tra regione e regione agì in Italia anche la rivoluzione industriale, che causò una maggior chiusura - per motivi economici - tra gli Stati italiani. Il secolo XX vede per primo la produzione a stampa di alcuni testi in vernacolo. I principali, in puro ordine cronologico, sono: Costantino Costantini, Pr'i viguli e pr'i campi, Osimo, Scarponi, 1922; Benedetto Barbalarga, La battaja del porcu, Osimo, Scarponi, 1924; Costantino Costantini, Canti senza testa, Osimo, La Picena, 1924; Costantino Costantini, Popolaresca, Roma, 1927; Augusto Tappa, La moda stramuderna de le donne (...), Osimo, Scarponi, 1929; Costantino Costantini, Bastianellu, Osimo, Scarponi, 1935; Elmo Cappannari, Quadretti di vita osimana, Osimo, Scarponi, 1946; Carlo Grillantini, Cinquantatre sciapate in osimano (senza testa e sa la coda), Osimo, Belli, 1950; Carlo Grillantini, Tre quartine in osimano, Osimo, Scarponi, 1951; Elmo Cappannari, S.Martino - La cosa più bella che ce resta, Osiimo, Belli, 1955; Benedetto Barbalarga, Scherzi dialettali, Ancona, 1963; Carlo Grillantini, testi e glossario dialettale in Saggi e studi sul dialetto osimano e rievocazioni in lingua, Pinerolo, 1966 e in Osimo - Guida storico-artistica - Dialetto - Folclore, Pinerolo, 19755, II parte, con aggiunte in Uomini, cose, avvenimenti di Osimo, Pinerolo, 1980; Armando Marra, Storia e storie d'Osimo (s.d.); Gino Vinicio Gentili, Asteres, Bologna, 1986; Gino Vinicio Gentili, Intorno a l'arola, Bologna, 1987; Leonardo Mancino, La casa, la madre, il colle e l'orto, 1989 (non si tratta di dialetto stretto). In queste composizioni il dialetto, nel giro di circa sessant'anni, è abbastanza cambiato, soprattutto dal punto di vista di vista lessicale. Infatti numerosi sono stati i prestiti dall'italiano e altrettanto numerosi sono i vocaboli caduti completamente in disuso, specie durante e dopo gli anni Sessanta. All’elenco sopra riportato sono da aggiungere i numerosi scritti in vernacolo pubblicati su “L’Antenna”, periodico locale, da vari autori: Umberto Graciotti, Sandro Mosca ecc., tenendo conto, comunque, che si tratta di “pezzi brillanti”, nei quali il dialetto è usato, appunto, per rendere vivacità o comicità.
Vocaboli osimani derivati direttamente dai corrispondenti latini classici o latini volgari (con esigue variazioni fonetiche). Esemplificazioni
I vocaboli appartenenti a questa ed alla seguente categoria costituiscono chiaramente una minoranza, essendo il vernacolo osimano per la quasi totalità composto da vocaboli aventi sì 'ascendenzà latina, ma poi toscanizzati e/o italianizzati e quindi passati ad esso, subendo un'ulteriore trasformazione fonetica ('osimanizzazione’). La categoria di vocaboli, che qui ci interessa, è giunta al vernacolo osimano direttamente dal latino (medievale, più spesso, ma anche classico), senza subire la toscanizzazione e/o la successiva italianizzazione. In questo ambito sono chiaramente osservabili le modificazioni tipiche minime che il vernacolo osimano ha condotto sul lessico latino. Esse risultano di minor numero rispetto a quelle condotte sul lessico italiano; cioè l’osimano ha mantenuto un atteggiamento più 'conservatore’ riguardo alla lingua latina piuttosto che riguardo alla lingua italiana. Si può nel contempo affermare che il lessico più antico (latino medioevale) ha subito minori alterazioni rispetto al lessico di più recente acquisizione (lingua italiana del secondo millennio dell'era volgare). Esemplificazioni:
Vocaboli osimani derivati direttamente dai corrispondenti latini classici o latini volgari e trasformatisi a seguito di più profonde variazioni fonetiche. Esemplificazioni
Questa categoria si presenta naturalmente più nutrita della precedente e comprende vocaboli sempre tratti direttamente dal latino volgare o classico, senza successiva toscanizzazione o italianizzazione, ma sui quali si è operata l'osimanizzazione di tipo fonetico. Esemplificazioni:
Conclusione
Riguardo all'attuale veloce trasformazione (per usare un eufemismo) del vernacolo osimano, e di tutti i dialetti in genere, c'è da ricercarne la causa principale nell'uso sempre più diffuso dell'attuale lingua italiana. E qui si deve prendere atto di un paradosso: sono gli stessi volgari locali (usati dai giornalisti e dai presentatori in ‘facili’ traduzioni mentali in diretta) a fabbricare la lingua della televisione, chiaramente accanto all'azione destabilizzante della lingua inglese (anch'essa ‘speditamente’ tradotta) e di altre lingue straniere (seppure in misura meno notevole). La lingua televisiva, venendo imitata, contribuisce in maniera determinante non solo a modificare i volgari locali, ma addirittura alla loro prossima prevedibile soppressione. Come dire, suicidio linguistico. Un'azione veramente incisiva e valida per evitare questo fenomeno potrebbe - a nostro avviso - essere intrapresa solamente dalla scuola, quando, invece di censurare il dialetto, lo affianchi in pari dignità alla lingua italiana, sia nell'uso sia nello studio, considerandolo come prima lingua di espressione, come in effetti è stato per la maggioranza dei parlanti nell'ultimo millennio ed oltre.
Alcuni “fossili” di lingue diverse dal Latino
Il "san" (italiano "con") riportato dal Compagnoni e da lui raffrontato col greco "syn", è oggi divenuto "sa" e vige più che altro in area rurale. Esso fa anche riandare al sanscrito "sam", di pari significato. L'aggettivo "straccu" è una copia esatta del longobardo "strak”. Dal francone si hanno almeno due vocaboli: “(v)ardà” (italiano "guardare") che proviene da "wardon", che significa "stare in guardia"; e "sparagnà" (italiano "risparmiare") da "sparanjan". La parola “bardasciu” (italiano “bambino”) deriva dall’arabo “bardag” che vale “giovane schiavo” e si ritrova anche in altri dialetti nella forma “bardasso” e “vardasciu”.
Principali differenze fonetiche tra vernacolo osimano e lingua italiana
Bisogna premettere che i confronti che seguono andrebbero più giustamente eseguiti non con l'attuale stato della lingua italiana, ma con i diversi stadi che la stessa ha attraversato nei secoli trascorsi dalla sua formazione.
1. Vocali e nessi vocalici
1.1 A - atona > E (spor.): es. "barberu", "fermascia", "orghenu", "Peseru", "sabbedu", "Sctefenu", "scternudu", "selleru"; imperativi I.a coniug.: es. "magnelu". Nelle finali: es. "chiese". - atona > I (spor.): es. "birocciu", "canniba", "ingunia", "monniga", "sctomigu", "sinnigu", "tonniga". - tonica > IÀ (spor.): es. "scmemuriadu".- atona > O (spor.): es. "oprì". - atona > U (spor.): es. "gabula", "scandulu". - AU atono > U (raro): es. "Ugusctu","Ureliu". - aferesi, se atona: es. "'ccegà", "'cchiappà", "'cciaccà", "'ccumedà", "Gujà", "guzzu", "'llentà", "'mmazzà", "'ndà", "'ntipadigu", "renga", "rià", "ricchì", "risctugradigu", "sciuccà", "sgerbu", "stroligu", "ttaccà", "'ttizzà".
1.2 E - spesso aperta: es. "invesce", "legge" (sost.), "scemu", "vergine". - chiusa invece che aperta: es. "sei" (numerale), "scena", "piega". - atona > A (frequ.): es. "abreo", "caldararu", "carubì", "chiacchiarà", "diassilla", "garuju", "matarazzu", "musarola", "oltra", "purcaria", "sargente", "scganganadu", "scpregaria", "talefenu", "tarazzu", "usctaria"; condiz. pres. I.a coniug.: es. "magnaria"; futuri I.a coniug.: es. "cantarò".Nelle finali dei femminili in -e: es. "fulisgina", "polvera", "pomiscia", "quala", "rusgena", "serpa". - atona > I (frequ.): es. "calchidù", "cirottu", "criadura", "divuziò", "gingia", "giniale", "isctade", "liccà", "liò", "Lisà", "malcriadu", "Napuliò", "pisctà", "puntirolu", "rigalà", "scimentu", "Sinigaja". - tonica > I (spor.): es. "dittu", "lia". - atona > IÀ (spor.): es. "biasctimà". - atona > IÈ (spor.): es. "tienè". - atona > U nelle desinenze masch. sing. (frequ.): es. "bicchieru", "grannu", "lepru". - EU > U (raro): es. "Usgeniu". - Si aggiunge come finale nelle parole straniere in consonante: es. "abbisse", "bare", "brecche", "este", "fonu", "gasse", "nicchesse", "norde", "oeste", "sporte", "tennisse"; ma: "camio". - aferesi, se atona: es. "dugadu", "'llasctigu", "migragna". - sincope, se atona (spor.): es. "brettu", "budu" (da "bevudu"), "merculdì", "poru" (da "poveru"), "tremodu". - sincope, se tonica (raro): es. "cul", "cula".
1.3 I - atona > (spor.): es. "fora", "fracascè", "magara". - > E (frequ.): es. "ascenu", "belancia", "besaccia", "besontu", "burghesgia"', "ce", "ceresgiu", "de", "dedu", "Felì" (da "Felippu"), "fenì", "fenocchiu", "lengua", "maghena", "mantenicchia", "me", "prencibe", "recamu", "renga", "rusgena", "sce", "scpegne", "sctrenga", "se", "sctregne", "te, "tentu", "urdegnu", "usemà", "ve", "vegne", "Vergì"; imperativi II.a e III.a coniug.: es. "beve", "sente".Nelle finali (raro): es. "denare". - > U (spor.): es. "centenaru", "cruellu", "garuju", "grandula", "rondula". - > UI (raro): es. "guisgiola", "guidara". - IÀ > A (spor.): es. pres. ind. I.a coniug. I.a pers. pl.: es. "parlamu", "tajamu", "sunamu". - IÀ > E (spor.): es. pres. ind. II.a coniug. I.a pers. pl.: es. "leggemu". - IÀ > I (spor.): es. pres. ind. III.a coniug. I.a pers. pl.: es. "sentimu"; "discissette", "discinnove". - IE > E (raro): es. "spesce". - IÈ > È (freq.): es. "cegu", "celu", "cuscensa", "mede", "mele", "rempì". - IÈ > Ì (raro): es. "rimpu", "schina". - IU > E (raro): es. "rescì".- aferesi se atona (frequ.): es. "'gnurante", "'mbriagà", "'mbrujò", "'munnezza", "'struì".- sincope se atona (frequ.): es. "bricchì", "carcà", "multura" (da molitura), "nualtri", "'rmane", "vualtri".- apocope se atona (raro): es. "nò", "vò".
1.4 O - aperta invece che chiusa (raro): es. "Bulogna".- chiusa invece che aperta (raro): es. "Giove", "boscu". - > A nelle finali masch. (spor.): es. "broda", "custora", "lora", "mia", "sua", "tua". - > E (spor.): es. "'ccumedà", "ecchelu", "'Nfelonniga", "presgiuttu", "sprefonnu", "telefenu"; pres. ind. III.e pers. pl.: es. "fanne", "polene".Nelle finali: es. "asse", "fume".- > I (raro): es. "comidu" (o "commidu"), "stroligu". - tonica > U (spor.): es. "cume", "cursa", "cusa", "nun". - atona > U (frequ.): es. "dulore", "susctansa", "Rubertu".In tutte le finali: es. "taccadu", "finidu", "Paulu", "'ndadu", "cattiu". - > IU (raro): es. "schiuppà". - OI > U (raro): es. "nualtri", "vualtri".- aferesi se atona (raro): es. "'bbedì", "belligu", "recchia".
1.5 U - > I (spor.): es. "inguentu", "rimore". - tonica > O (spor.): es. "besonto", "donca", "giò", "paora". - UE > O (spor.): es. "bò" (bue), "dò" (due); ma: "sue", "tue". - UÒ > O (di norma): es. "bonu", "cosce", "domu", "fogu", "fora", "logu", "musarola", "novu", "omu", "roda", "scola", "sola", "soscera". - aferesi, se atona (raro): es. "cellu".
2. Consonanti e nessi consonantici
2.1 B - > BB (iniziale) (spor.): es. "bbadà", "bbajà". - > BB (interna) (spor.): es. "gabbarè", "libbru", " robba", "sabbedu", "tribbulà", "trobbidu". - > F (raro): es. "fiocca". - > V (raro): es. "sciaatta (da sciavatta)", "sbiaidu".
2.2 C - > CC: es. "acacciu", "reccamu". - > G (iniziale) (frequ.): es. "gambià", "garbò", "gardellì", "gardinale", "gasctigu", "graatta". - > G (interna) (frequ.): es. "amigu", "bugu", "gnigò", "'mbriagu", "musiga", "pruugà", "scpettagulu", "segonnu". - > S (raro): es. "pansa". - > SC (frequ.): es. "cosce", "cuscina", "diesci", " fasceu", "fascile", "lisceu", "sce", "scinta". - > SG (frequ.): es. "basgiu (bacio)", "brasgia", "brasgiola", "brusgià", "camisgia", "casgiu", "curnisge", "risginu", "sgerbu". - > Z (raro): es. "'ncumenzà". - CC > GH (frequ.): es. "bagalà", "bugale", "buguncì", "rusigà", "sugu" (ma: "buccò"). - CC > ZZ (raro): es. "scapezzà", "scartozzu". - CH > C (raro): es. "granciu" (o "sgranciu"), "numbrisciu". - CH > SG (raro): es. "basgiu" (baco)", "busgiu".
2.3 D - > DD (frequ.): es. "doddisci", "treddisci". - > GH (raro): es. "vagu". - > LL (raro): es. "selleru".- sincope in "ranciu".
2.4 F - > FF (interna) (frequ.): es. "riffulu", "sctuffu".
2.5 G - > C (raro): es. "Caribaldi", "ranciasse". - > CC (spor.): es. "sciuccà". - > GG (interna) (spor.): es. "urloggiu" (anche "urlosgiu"). - > SG (frequ.): es. "Biasgiu", "rasgiuniere".- > V (raro): es. "vardà". - GG > SG (frequ.): es. "frisge", "rusgena", "strusge". - GH > D (raro): es. "lendiera". - GH > J (iniziale) (spor.): es. "jacciu", "janna", "jomu" (da "gumidulu)", "jottu". - GL > J (molto frequ.): es. "aju", "budija", "cujò", "garuju", "Gujè", "Jè", "maja", "'mbrujò", "meju", "sbaju", "vaja". - GL > LL (frequ.): es. "cunillu".- sincope in "piulà" (pigolare)", "ardà" (guardare)".
2.6 L - > J (spor.): es. "bascuja", "oju". - > LL (spor.): es. "baulle", "cell'ea". - > N (spor.): es. "antru", "numbrisciu". - > R (frequ.): es. "ceresgiu", "curtellu", "furminante", "rasagnolu", "rigulizia", "scarogna", "scarpellu", "sfrasgellu", "spusariziu". - LL > J (frequ.): es. "boja", "boje", "puju", "sbujentà".- sincope in "abbisse".
2.7 M - > GN (raro): es. "sparagnà". - > MB (frequ.): es. "cambura", "camburiere", "sembula". - > MM (frequ.): es. "amme", "ammidu", "cummare". - ML > MEL (raro): es. "Meledu". - MM > M (spor.): es. "scimia"; ma: "gomma", "mamma". - MP si assimila in PP (frequ.): es. "roppe".
2.8 N - > GN (spor.): es. "gnacchera", "gnisciù", "gnocca", "pignolu". - > L (raro): es. "grandula", "rondula". - > NN (frequ.): es. "dumenniga", "lunnedì", "'ncronnigu", "tanniga". - NC > GN (raro): es. "vegne". - NG > NN (frequ.): es. "mogne", "ogne (ungere)", "piagne", "scfragne", "scpegne", "sctegne", "sctregne", "tegne". - NGH > GN (raro): es. "ogna". - NIA > GN (frequ.): es. "culogna", "migragna", "sborgna". - NIE > GN (iniziale): in "gnè". - ND si assimila in NN (di norma): es. "cumannu", "cumprenne", "dumanna", "faccenna", "fronna", "grannu", "mannà", "monnu", "munnezza", "nasconne", "'nna", "predenne", "quannu", "segonnu", "sfunnadu", "sinnigu", "spanne", "spenne", "tonnu", "venne"; ma: "grandula", "mandula". - NN > GN (raro): es. "pagnu"; ma: "nonnu".
2.9 P - > B (frequ.): es. "abbisse", "biattula", "bisellu", "brugna", "cabottu", "cabra", "cabucciu", "caburale", "cibolla", "cuberta", "paba", "pobulu", "prencibe", "sabé", "scubà". - > PP (interna) (spor.): es. "pippa". - > V (interna) (spor.): es. "peerò", "scavesctru".
2.10 Q - > CH (spor.): es. "calche", "calchidù", "donca"; ma: "quadernu", "quadru" ecc. - > GH (spor.): es. "guasi", "rigulizia".
2.11 R - > L (spor.): es. "clema", "Diassilla", "lendiera", "rigulizia", "scialpa". - > N (spor.): es. "mantinicchia", "sganganadu".- sincope in "mandula", "rastellu". - RC si assimila in CC (frequ.): es. "badacce", "vedecce", "cupracce". - RI metatesi in AR (iniziale) (spor.): es. "ardecchelu", "armane", "armette", "arturnà", "'rvedè". - RI metatesi in ER (iniziale) (spor.): es. "m'ercordu". - RI metatesi in 'R (iniziale) (frequ.): es. " 'rcurdà", "'rmasta", "'rturnà". - RR > R (di norma): es. "caru", "ghidara", "guera", "tera". - RS assimila in SS (spor.): es. "alzasse".
2.12 S - > C (raro): es. "borcia", "salciccia". - > SC (frequ.): es. "accuscì", "scì", "sciguru". - > Z (raro): es. "penzà", "salza". - + B, CH, D, F, GH, M, N, P, Q, T, V > SC (di norma): es. "scbudellà", "sccrusctà", "sdugà", "scfarinà", "scgaggià", "scmenà", "biscnonnu", "scpusà", "scquadrinadu", "sctufà", "scvergugnà". - SC > SS (spor.): es. "cossa", "lassà". - SC > SG (frequ.): es. "lisgià", "presgiuttu", "strasginà", "strisgià". - SCH > SC (spor.): es. "finisciu". - SS > SC frequ.): es. "fracascè", "nisciù", "pasciò", "rosciu", "sfragascià", "tosce". - SS > S (spor.): es. "Lisà" (Alessandro)", "mesu". - SS > Z (raro): es. "cazzarola"; ma: "cassa".
2.13 T - + voc. > D (iniziale) (raro): es. "dunzilla". - + voc. > D (interna) frequ.): es. "cadena", "cadì", "dedu", "inudile", "pudè", "rede", "suldadu", "vida; partic. pass": es. "finidu". - + cons. > D (nel gruppo ST) (spor.): es. "sdrega"; ma: "sctreccià". - > G (raro): es. "sctrigulà". - > TT (frequ.): es. "dattu", "pattada", "sccattula". - TT > CC (raro): es. "sciuccu". - TT > D (frequ.): es. "badezzu", "madina", "mado", "quadrì".
2.14 V - > B (spor.): es. "besciga", "malba". - > G (spor.): es. "guisgiula", "guluppa (da inviluppo)", "nugulu", "sguizzeru". - > U (raro): es. "sciuetta".- sincope se intervocalica (norma): es. "beuda", " guernu", "mentuà", "nuidà", "pruincia", "truà", "ua (uva)".- sincope nel gruppo VR (frequ.): es. "aria", "arò".
2.15 X - > CCHESE in "bocchese" (box), "facchese" (fax), "icchese" (ics).
2.16 Z - > C (raro): es. "ciuffulu", "melancià", "pacenza". - > S (frequ.): es. "'nfilsà", "marsu", "sensa", "sfilsa". - > ZZ nel gruppo ZI+voc. (di norma): es. "giudizziu". - ZZ > GG (raro): es. "gaggia".
3. Altri fenomeni
a) Modifica di iniziale:- + A (spor.): es. "accuscì", "alluscì", "aradiu", "auffa".- + S (frequ.): es. "scbarattà", "scbesonto", "scbiascigà", "scbonu", "scbruntulà", "scbusgià", "sccarcioffenu", "sccarpì", "sccartozzu", "sccassà", "scmattisse", "scmuccigà", "scmuscià", "scolabrodu", "scpartì", "scpasseggià", "sctrasginà", "sccuffia", "sfilsa", "scfragascià", "scfragne", "scfrasgellu", "scfugà", "sctrunà", "scturnà", "sgranciu".- aferesi (spor.): es. "'gna", "paccà", "'sa" (da "quessa"), "sparagnà", "'sta".
b) Apocope:- di -NE in -ANE/I (frequ.): es. "cà", &quoot;dumà", "pà".- di -NE in -ENE (di norma): es. "bè", "mantiè".- di -NE in -ONE (di norma): es. "cujò", "padiò", "padrò", "trumbò".- di -NO in -ANO (di norma): es. "crisctià", "grà", "mà".- di -NO in -INO (di norma): es. "mulì", "spì", "taulì", "vì".- di -NO in -UNO (di norma): es. "disgiù", "nisciù".- di -RE negli infiniti presenti (di norma): es. "rià", "vede" (o "vedè")", "sentì".- nei nomi propri (quasi di norma): es. "Antò", "Dumè", "Francè", "Giuà", "Gujè", "Gustì", "Lurè", "Nazzarè", "Pascì", "Peppì ", "Terrè", "Vincè".- altri casi: "adè", "cu", "gnè", "gnigò", "jè", "lù", "mì", "'ndu", "'o" (da "'olta")", "pulè", "què", "qualcò", "tù".
c)Passaggio -AIO > -ARO (di norma): es. "acciaru",, "nudaru", "paru", "pullaru", "vedraru".
d) Suffissi particolari:- -CCIA: es. "gramaccia"- -GIA: es. "cenigia"- -EMBULI: es. "accidembuli"- -ENNZIU: es. "accidenziu"- -ERBA: es. "acciderba"- -EU: ess. "canfeu"- -ORIU: es. "bruttoriu"- -ROLU: es. "lattarolu", "pesciarolu"- -U (invece di -AMENTO): es. "accumpagnu"
e) Sincopi, es. "fradiu", "Micchere", "pleure", "purettu", "purì", "scpicciu", "scricchià", "scrime", "tughetta".
f) Aggiunta di lettere, es. "maltappena", "marzumaja", "'mbrenna", "melauro", "mucculu", "neccortu", "nuggia" (da uggia)", "pipidula", "rinsega", "sctantiulidu", "sctraccu", "sctrainisse", "sgranfignà", "sgrizzà", "trusamarì", "ubbiede", " vermenu", "vespera".
g) Metatesi es. "battecca", "brignoccula", "cerqua", "cuncorsiu", "drentu", "fedigu", "frasgidu", "gamazzì", "purcessiò", "scbinnonnu", "sctroppiu", "trobbidu".
h) Scambio di consonanti es. "calonnigu".
Cenni grammaticali
- Articoli determinativi: el ('l), lu, la, i, i, le. Scambio di articoli: es. el zuccheru, lu ride. - Articoli indeterminativi: un, unu, una ('na). - Nomi propri apocopati: es. Antò, Giuà, Vincè, Pè. - Grado comparativo degli aggettivi - Uguaglianza: ... cume (quantu); maggioranza: più... de ...; minoranza: menu ... de ... - Grado superlativo degli aggettivi - Assoluto: positivo + un bel pò (oppure "probiu", oppure "bellu ..."); relativi: "il più ... de ..."; "il menu ... de ...". Mancano tutte le forme irregolari italiane (es. migliore, maggiore, minore, ottimo, pessimo ecc.), sostituite da avverbio + grado positivo. "Meju" (o "più meju") sostituisce migliore. - Aggettivi sostantivati: es. "'l bonu", "'l pogu". - Aggettivi possessivi: "miu" ("mia", "mi"), "mia" ("mi"), "mii" ("mia"), "mie"; "tuu" ("tu"), "tua" ("tu"), "tui" ("tua"), "tue"; "suu" ("sua"), "sua", "sui" ("sua"), "sue"; "nostru", "nostra", "nostri", "nostre"; "vostru", "vostra", "vostri", "vostre"; "de lora" (in tutti i casi).Sono sempre posposti al sostantivo di riferimento, eccetto in "mi, tu, su padre". Le forme enclitiche sono: "-du" e "-da" (es. "babbedu" e "mammeda") e le forme rurali "su" e "sa" (es. "lu zisu", "la zisa"). - Aggettivi dimostrativi: "stu", "sta", "sti", "ste", "su", "sa", "si", "se", "cul" ("culu", "cul"), "cula", "cui", "cule". Rafforzativi: "chi", "lì", "là". - Aggettivi interrogativi: "qualu", "quala", "quali", "quale", "cu", "quantu". - Aggettivi indefiniti: "nisciunu" ("nisciun'"), "'gni", "pogu", "troppu", "tantu", "tuttu" ecc. - Pronomi personali soggetti: "iu", "te" ("tu"), "lu", "lia", "essa", "no" ("nualtri", "nuà"), "vo" ("vualtri", "vuà"), "lora". Il lei è sostituito dal "te" e dal "vo". - Pronomi personali complementi diretti: "me", "te", "lu", "la", "se", "ce", "ve", "li", "le", "se"; indiretti: "me", "te", "lu", "lia", "iè", "ne", "no" ("nualtri", "nuà"), "vo" ("vualtri", "vuà"), "lora"; accoppiati: "melu", "telu", "selu", "jelu", "celu", "velu", "selu". - Pronomi dimostrativi: "questu", "questa", "questi", "queste"; "Quessu", "quessa", "quessi", "quesse"; "quellu", "quella", "quelli", "quelle". Riferiti solo a persone (e mancanti della forma plurale): "custù", "custia", "cullù", "cullia". "istessu", "istessa", "istessi", "istesse". - Pronomi possessivi: sono uguali ai corrispondenti aggettivi accompagnati dagli articoli; l'ultima forma è "quellu de lora" ecc. Il pronome "altrui" è reso con "quellu dell'altri". - Pronomi relativi: "che" (soggetto, oggetto, complemento indiretto). - Pronomi indefiniti: "calchiduno" (anche "calchidù"), "calchiduna", "calcò", "moltu", "pogu", "troppu", "tantu", "parecchiu", "tutto", "l'altri", "gnente", "gnisciù", "gnigò" ecc. - Pronomi interrogativi: "qualu", "quali", "quala", "quale", "cu", "cusa" (a volte rafforzato con espressioni più o meno volgari), "quantu", "qualu". - Pronomi esclamativi: "quantu", "quanta", "chi". - Verbi. - I modi usati sono: indicativo (pres., imperf., pass. pross., trap. pross., fut., fut. ant.), congiuntivo (pres., imperf., pass., trap.), condizionale (pres., pass.), imperativo, gerundio (pres., pass.), participio (pass.), infinito (pres., pass.). - Avverbi - Quantità: "un bel pò", "multu bè" (entrambi posposti), ecc. Luogo: "diedru", "quaggiò", "oltra", "giò" ecc. Tempo: "adè", "dumà", "dobu" ecc. Modo: "cuscì" (o "accuscì"), "alluscì" ecc. Affermazione: "scì", "siguru" o "sciguru", "certu" ecc. Interrogazione: "Indò", "quannu", "cume" ecc. Dubbio: "puesse", "pudarsi", "guasi". Locuzioni avverbiali: "alla bona" (modo); "sessà" (affermazione); "casu mai", "guasi guasi", "lì de giò", "lì de oltra", "su de sobra", "giò de sotta". - Preposizioni - Semplici: "de", "cun" (rur. "sa"), "pè" ecc. Articolate: "'ntel", "pel", "cul" ecc. Improprie: "sotta", "sobra", "dobu", "fora", "drentu", "oltra" ecc. - Congiunzioni. Coordinanti: "uppure", "uppuramente" (rur.), "ussia", "ma però", "ciuè", "donca" ecc. Subordinanti: "quannu", "benchè", "cume"; molte sono sostituite dal "che". - Interiezioni: "oh", "eh", "daje" ecc. |